Il Documento di Economia e Finanza (DEF) definisce le linee principali di politica economica del Paese. Quello varato all’unanimità dal Governo la settimana scorsa è caratterizzato da una frenata della crescita e da un’inflazione in forte aumento.
Sono state riviste al ribasso le stime sulla crescita del PIL che, da settembre 2021 ad oggi, in sei mesi, passa dal 4.7 al 3.1%. Dal NADEF di settembre al DEF di aprile si abbassano drasticamente le prospettive per la nostra economia.

La scuola è il settore pubblico che di più degli altri subirà conseguenze negative.
La spesa pubblica per la scuola sarà in calo nei prossimi anni e la riduzione è dovuta -dice il Governo- alle dinamiche demografiche e alla riduzione degli studenti.
Per questo sarà destinata all’Istruzione il 3,5% del Pil nel 2025 e poi il 3,4% negli anni successivi. Un calo drastico rispetto al 4% del 2020.
Secondo le previsioni del DEF solo nel 2045 si potrà ritornare al 3,5%.
Nel 2019 la media europea era il 4,7% del Prodotto interno lordo dell’Unione (la differenza tra 3,5 e 4,7% in Italia sono circa venti miliardi ogni anno). Senza dire del 6% Pil della Svezia, della Danimarca e del Belgio.
Se la spesa in rapporto al Pil decresce da qui al 2025 è chiaro che i promessi investimenti nel Comparto Istruzione nell’ambito del Pnrr sostituiscono quelli pregressi.

Infine, con il DEF, sono prorogati fino al termine delle lezioni del 2021/2022 i contratti a tempo determinato al personale docente e ausiliario, tecnico e amministrativo (ATA). Ma la riduzione del Pil potrebbe essere il segnale definitivo che gli assunti per l’emergenza restano un’emergenza, senza la prospettiva di stabilizzare quei posti.

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